Spinoza smonta il carisma dei profeti con un’osservazione quasi clinica: “i profeti non furono dotati di una mente più perfetta, ma di una più viva facoltà di immaginare” . Tradotto: il vero motore della rivelazione è l’immaginazione, non l’intelletto geometrico. Per questo la profezia ha bisogno di «segni»—lampi, sogni, miracoli—che confermino ciò che la ragione non può dimostrare.
Ne segue la famosa definizione: “Profezia o rivelazione è la conoscenza certa di una cosa rivelata da Dio agli uomini” . Ma quella “certezza” è solo morale, non matematica; il profeta è un ottimo narratore capace di parlare al cuore più che alla mente. Come quando un bravo insegnante usa una favola per spiegare un concetto astratto: la storia scalda, ma non sostituisce la dimostrazione.
L’obiettivo polemico è chiaro. Chi cerca «la conoscenza delle cose naturali e spirituali nei libri dei profeti» – scrive – «è fuori strada» . La superstizione nasce proprio dal confondere i due piani, credendo che l’arcobaleno sia al tempo stesso promessa divina e spiegazione scientifica dei colori. Spinoza preferisce distinguere: alla teologia la virtù, alla scienza le cause.