Quando entriamo in una casa, non notiamo soltanto gli oggetti. Li “leggiamo”. Il divano, la libreria, il servizio da tavola, il tipo di lampade o persino i centrini: tutto parla. Non tanto del gusto personale di chi abita lì, quanto del suo rapporto con la società, con l’idea di prestigio, di appartenenza, di desiderio. Jean Baudrillard, in un testo divenuto ormai classico, ci invita a decifrare questo linguaggio silenzioso. E ci mostra come il consumo non sia mai innocente.
Dietro il consumo, una grammatica sociale
Secondo Baudrillard, ogni oggetto fa parte di un “discorso”. Ma non si tratta solo di estetica o di funzionalità: gli oggetti ci parlano della nostra posizione sociale, delle nostre ambizioni, delle nostre contraddizioni. Sono segni, parte di un codice che le classi sociali interpretano ognuna a modo proprio. Nessuno “parla” gli oggetti in modo neutro: li manipoliamo come un dialetto, piegandoli alle nostre aspirazioni, alla nostra storia.
Così come non tutti gli oggetti in una casa sono coerenti tra loro, non tutti corrispondono esattamente allo status reale del proprietario. Alcuni parlano del passato, altri del futuro desiderato, altri ancora rappresentano un sogno inaccessibile. In questo senso, Baudrillard dice che esistono oggetti “falsi”, che testimoniano di un’identità che non c’è ancora (o non c’è più). E oggetti “fedeli”, che legano chi li possiede alle proprie origini.
Non si vive di solo uso: la retorica degli oggetti
Gli oggetti domestici non si limitano a servire. Sono messi in scena. Si moltiplicano, si proteggono, si raddoppiano: un vaso ha il suo portavasi, un tavolo ha la tovaglia e la sovra-tovaglia di plastica, le finestre hanno doppie tende. Questa ridondanza, apparentemente superflua, è invece carica di significato: rappresenta un bisogno di sicurezza, di riconoscimento. È una strategia per dimostrare di aver “fatto strada”, per dirlo agli altri — e anche a se stessi.
Tutto ciò è particolarmente evidente nelle cosiddette classi medie, quelle in ascesa, che cercano di legittimare una posizione ancora instabile. Baudrillard parla di una vera e propria “retorica della disperazione”: dietro il trionfalismo dell’arredo si nasconde il timore di non avere ancora pienamente conquistato il proprio posto. Ogni oggetto diventa così una dichiarazione sociale: non solo “ho questo”, ma “guarda come lo possiedo bene”.
L’oggetto come sacrificio domestico
Questa teatralità ha un prezzo. Il lavoro domestico — lucidare, incerare, ordinare — non è solo una faccenda pratica, ma una ritualità simbolica. Gli oggetti non vengono semplicemente usati: vengono civilizzati, disciplinati, sottoposti a un codice di pulizia e simmetria. Spesso si tratta di oggetti che non verranno mai utilizzati (come l’argenteria), ma che devono comunque essere curati per mantenere il loro ruolo sociale.
È un paradosso: in nome della funzionalità si compie uno sforzo immenso che rende gli oggetti meno pratici. In fondo, dice Baudrillard, non è più economia domestica, ma una sorta di liturgia della legittimazione. Un modo per esibire il merito, il prestigio, la moralità, tutto insieme. Gli oggetti diventano così i veri protagonisti del dramma sociale che si svolge tra le mura di casa.
Il gusto dell’antico: nostalgia di legittimità
Cosa dire, poi, del gusto per l’“antico”? Secondo Baudrillard, non si tratta solo di amore per la bellezza del passato, ma di una volontà di distinguersi. L’oggetto antico cancella le tracce della produzione industriale, si presenta come autentico, unico, simbolico. È la bandiera di chi vuole legittimare la propria posizione, dare nobiltà alla propria ascesa sociale, o persino, nel caso degli intellettuali, rifiutare del tutto l’integrazione nel mondo borghese.
Simmetria, vernice e specchi: un mondo ordinato (o ingabbiato?)
La simmetria degli spazi, la pulizia ossessiva, la lucidatura continua sono tutte forme di un ordine simbolico. L’ambiente domestico diventa uno specchio: ogni oggetto è raddoppiato, duplicato, come a ribadire che ciò che è mio è davvero mio. Non è solo possesso: è un’affermazione, un’identità, una posizione conquistata. Ma proprio perché conquistata a fatica, questa posizione è fragile, sempre in cerca di conferme.
Ecco perché, in una casa di classe media, ogni vaso, ogni centrino, ogni tappeto racconta una storia. Una storia fatta di ambizioni, di paure, di sforzi, di attese. Una storia in cui gli oggetti non sono strumenti, ma segni. Non servono solo a vivere: servono a dimostrare che si è riusciti a farlo nel modo “giusto”.
Riferimento bibliografico:
Jean Baudrillard, Funzione-segno e logica di classe, in «Communications», n. 13, 1969.