Husserl pone l’epoché alla base di un nuovo sapere non più rivolto al “mondo” ma alla “coscienza”.
Husserl sosteneva di essere consapevole di un mondo che si estendeva infinitamente nello spazio e che aveva attraversato un infinito processo di divenire nel tempo. Essere consapevoli del mondo, secondo lui, significava innanzitutto farne esperienza diretta: trovarlo immediatamente presente davanti a sé, visibile e percepibile.
Spiegava che, attraverso le varie modalità della percezione sensibile — come il vedere, il toccare, l’udire — le cose corporee si presentavano a lui con una certa disposizione spaziale, risultando “alla mano”, sia in senso letterale che figurato. Tali oggetti gli erano presenti, che vi prestasse attenzione oppure no, e a prescindere dal fatto che li coinvolgesse o meno nel pensiero, nel sentimento o nella volontà.
Aggiungeva che, allo stesso modo, anche altri esseri animati, come gli uomini, gli apparivano presenti: li vedeva, li udiva, li incontrava fisicamente e, attraverso la conversazione, li comprendeva immediatamente. Riteneva di poter cogliere direttamente le loro rappresentazioni, i loro pensieri, i sentimenti che li attraversavano, così come i loro desideri e le loro volontà. Anche quando non li osservava attivamente, questi esseri gli rimanevano presenti come realtà nel suo campo percettivo.
Tuttavia, secondo Husserl, non era necessario che gli oggetti, o gli altri esseri, si trovassero fisicamente nel suo campo visivo per essere “qui per lui”. Insieme agli oggetti percepiti direttamente, erano presenti per lui anche altri oggetti reali, determinati e in qualche misura noti, pur senza essere percepiti o visibili in quel momento.
Affermava, infatti, di poter spostare la propria attenzione dalla scrivania che stava osservando alle parti della stanza che gli stavano alle spalle, alla veranda, al giardino o ai bambini sotto la pergola. Si riferiva così a tutti quegli oggetti che sapeva essere presenti nei dintorni. Questo tipo di “sapere”, però, specificava, non aveva nulla a che vedere con un pensiero concettuale, ma era una forma di coscienza che si trasformava in percezione chiara solo quando l’attenzione si volgeva effettivamente verso quegli oggetti — e anche allora, sottolineava, solo in modo parziale e imperfetto.
Ma l’intenzione del filosofo era di superare questo tipo di sapere:
“Invece di permanere in questo atteggiamento, noi vogliamo mutarlo radicalmente“ precisa Husserl in Idee per una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica del 1913
“Il “cambiamento radicale” a cui allude Husserl consiste nel cessare di considerare le cose del mondo come se fossero fissate nell’immutabilità di un’esistenza autonoma e separata da quella della coscienza. Questa convinzione è il frutto di un’astrazione che porta non solo l’uomo comune, ma anche l’uomo di scienza a una forma di dogmatismo che pretende di indagare i “fatti” nella loro presunta oggettività.
Husserl precisa inoltre che l’affermazione della realtà del mondo non è un singolo giudizio, frutto di un singolo atto conoscitivo, ma è legata a un atteggiamento “globale” che caratterizza tutti gli esseri umani. Ora, la fenomenologia non rinuncia alla «tesi generale» dell’esistenza esterna e autonoma del mondo, ma la “sospende“: la “neutralizza” in via provvisoria.“ (Nicola Abbagnano)