Quando una mente filosofica si trova di fronte a un fenomeno nuovo – sostiene John Frederick William Herschel – la prima cosa che cerca è una spiegazione, cioè una causa immediata che lo abbia prodotto. Se non riesce a trovarla, il passo successivo è generalizzare quel fenomeno, cercando di inserirlo in una legge più ampia che includa anche altri casi simili. L’idea è che, con il progresso della conoscenza, si possa prima o poi arrivare a scoprire una causa adeguata.
Con il tempo e grazie all’esperienza, la scienza ha accumulato un numero sempre maggiore di casi in cui un fenomeno è stato osservato come effetto di un altro. Così si è formato un patrimonio di cause prossime, che – pur con delle variazioni – risultano sufficienti a spiegare molti effetti, anche oltre quelli per cui erano state inizialmente formulate. Newton chiamava queste cause verae causae, cioè cause reali, effettivamente esistenti in natura, e non semplici ipotesi o invenzioni della mente.
Quando ci troviamo di fronte a un fenomeno e la sua causa non è evidente, né possiamo individuarla grazie a un confronto diretto con un altro caso simile (cioè per analogia), l’unica possibilità che ci rimane è quella di raccogliere deliberatamente tutti i casi simili che riusciamo a trovare. In altre parole, dobbiamo costruire una classe di fenomeni che abbiano in comune il fenomeno in questione, prendendolo come punto di riferimento o “capo di classificazione”. A quel punto, bisogna cercare tra tutti questi casi un altro elemento comune, una caratteristica ricorrente, che possa aiutarci a risalire alla causa del fenomeno. Se tra i casi raccolti emerge una sola possibile causa, il compito è semplice.
Ma se invece appaiono più cause possibili, diventa necessario fare un passo ulteriore.
In questo caso, dobbiamo cercare — o, se necessario, creare noi stessi — nuovi casi in cui una sola delle cause sospette sia presente, mentre le altre siano assenti. L’obiettivo è osservare se il fenomeno continua a verificarsi o no. Questo ci permette di stabilire quale causa sia realmente responsabile.
È proprio in questo contesto che entra in gioco quello che Bacone chiamava “esempi cruciali” (crucial instances): fenomeni specificamente selezionati o creati per decidere tra due ipotesi concorrenti, entrambe supportate da analogie simili. Gli esempi cruciali servono a dirimere il dubbio: quale tra le due cause è davvero alla base del fenomeno?
Qui si vede anche chiaramente perché l’esperimento attivo sia spesso più utile della semplice osservazione passiva. Un esperimento cruciale, infatti, consiste nel combinare elementi in modo controllato, scegliendo quali cause includere e quali escludere intenzionalmente. A seconda che il risultato dell’esperimento coincida o meno con gli altri casi già analizzati, possiamo trarre conclusioni più affidabili sull’origine del fenomeno.
Riferimento bibliografico:
J.F.W. Herschel, Discorso preliminare sullo studio della filosofia naturale, 1830