I limiti del principio di verificazione

Il Circolo di Vienna inizialmente adottava un criterio di verificabilità conclusiva, secondo cui un enunciato può essere considerato empiricamente significativo solo se può essere tradotto o ridotto a un insieme finito e coerente di asserti osservativi di base.

Tuttavia, questa concezione presenta difficoltà insormontabili. Ad esempio, le proposizioni universali come “Tutti i papaveri sono rossi”, come le proposizioni che esprimono leggi scientifiche, non possono mai essere ridotte a una semplice congiunzione di osservazioni finite. Di conseguenza, secondo il principio di verificazione rigoroso, tali enunciati non sarebbero verificabili in modo definitivo e risulterebbero privi di significato.

Per superare questi limiti, tra gli anni Trenta e Cinquanta filosofi come Carnap, Neurath e altri hanno cercato di ampliare il criterio di significanza empirica, proprio per evitare di escludere concetti e teorie fondamentali della scienza.

L’inglese A.J. Ayer, ad esempio, ha proposto un criterio di verificabilità debole, secondo cui non solo non esistono verificazioni definitive, ma anche gli stessi asserti osservativi hanno solo un valore probabilistico. Come egli stesso affermava: “Nessuna autentica proposizione sintetica può essere ostensiva, né dunque assolutamente certa.”

Riferimenti bibliografici per questo articolo:
Cioffi, Luppi, Vigorelli, Il Testo Filosofico 3/2, 1993, Mondadori

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